Servono modelli specifici per la sicurezza del lavoro. In caso contrario l`impresa rischia grosso perché la magistratura potrà sanzionarla con misure anche molto gravi. Perché nella materia della tutela delle condizioni di sicurezza le imprese hanno un interesse diretto, non fosse altro che per ragioni di risparmio economico, ad aggirare gli obblighi previsti dalla normativa.
A fornire queste indicazioni è la prima sentenza che ha condannato un`impresa (si tratta della società di logistica delle Ferrovie dello Stato) per il reato di omicidio colposo ascrivibile sul piano penale ai suoi dipendenti. A pronunciarla è stato il tribunale di Trani occupandosi della sciagura che il 3 marzo del 2008 costò la vita a 5 persone durante la pulizia di una cisterna. La sentenza che, vista la gravità del fatto, ha punito l`impresa praticamente con il massimo della pena pecuniaria che può essere inflitta (1 milione mezzo di euro) scioglie alcuni dei dubbi che erano stati sollevati da quando, nel 2007, la responsabilità delle imprese per reati commessi da dipendenti venne estesa ai reati di omicidio colposo e lesioni gravi e gravissime commessi in violazione delle norme a presidio della sicurezza del lavoro.
Per i giudici, quanto alla compatibilità tra responsabilità amministrativa e reati colposi, va sottolineato come non è stata considerata con attenzione la circostanza che l`omicidio colposo e le lesioni sono reati di evento e «scaturiscono da una condotta colposa connotata da negligenza, imprudenza, imperizia oppure inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Se, da un lato la morte o le lesioni rappresentano l`evento, dall`altro proprio la condotta è il fatto colposo». Ne deriva che quando nel realizzare la condotta il dipendente agisce nell`interesse dell`ente, la responsabilità di quest`ultimo è sicuramente possibile.
Stessa conclusione poi per quanto riguarda il profilo del vantaggio. E allora, se il fatto criminale rappresenta il risultato della mancata adozione di misure di prevenzione, è agevole sostenere, sottolinea la pronuncia, che la mancata adozione di queste misure ha garantito un vantaggio alla società, per esempio nella forma di un risparmio di costi. La pronuncia si concentra poi sul problema dei modelli e della prevenzione dei reati. Una delle società coinvolte aveva, in sede difensiva, sostenuto l`equiparazione tra i documenti di valutazione rischi e i modelli che possono essere utilizzati come esimente sulla base di quanto stabilito dal decreto 231. Una tesi che però è stata respinta dal giudice. Anche se è possibile che ci siano delle parziali sovrapposizioni, «è chiaro che il modello teso ad escludere la responsabilità societaria è caratterizzato anche dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti a incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull`osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze».
A questi aspetti deve poi essere aggiunto il fatto che il modello 231 deve contenere anche le modalità di gestione delle risorse finanziarie da utilizzare per impedire la commissione di reati. Altra differenza fondamentale è quella dei destinatari. Il modello 231 non si rivolge in primo luogo ai soggetti esposti al rischio, quanto piuttosto a coloro che nell`ambito dell`organizzazione aziendale sono più esposti al pericolo di commettere reati colposi e di provocare quindi la morte o le lesioni, sollecitandoli ad adottare standard operativi tali da scongiurare o ridurre la responsabilità dell`impresa.
Dalla lettura del modello della società condannata, però, il giudice rileva una serie di gravi carenze su un aspetto cruciale, quello dei rapporti con imprese terze. Per il magistrato di Trani è chiaro che il controllo dei rischi non può esaurirsi nell`ambito della struttura organizzativa ed aziendale della società, ma deve essere esteso anche all`osservanza delle medesime regole da parte dei soggetti che entrano, direttamente o indirettamente, in contatto con le attività a rischio dell`impresa.