Si ripetono le sentenze di condanna del committente e del coordinatore per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili di cui al Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, a riprova che queste sono considerate le figure chiave nella organizzazione della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili. In particolare il committente è sempre stato considerato dalla giurisprudenza il perno della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili e cioè colui che, a monte, deve organizzare il cantiere edile, designare o meno i coordinatori per la sicurezza se richiesto dalle disposizioni di legge ed assicurarsi che gli stessi svolgano le loro funzioni relative ad una corretta programmazione della sicurezza ed al controllo della attuazione del piano di sicurezza e di coordinamento in fase di esecuzione.
Con questa sentenza è stata confermata la condanna, congiuntamente al committente, anche del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione per la sua negligenza ed imperizia nella redazione del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), nonché per errate scelte progettuali ed inadeguatezza del PSC medesimo in relazione alle effettive modalità di esecuzione delle opere in corso.
Il cantiere di cui alla sentenza era stato installato per l’esecuzione di alcuni lavori pubblici di ampliamento del locale discarica di un Comune e durante gli stessi, mentre gli operai della impresa appaltatrice, ultimati i lavori di sbancamento, erano intenti a lavorare ai piedi della parete di uno scavo alta circa quattro metri, una consistente quantità di terreno era franata travolgendo e seppellendo un lavoratore il quale riportava delle lesioni che determinavano una malattia durata oltre 130 giorni. E’ singolare poi la circostanza emersa che nello stesso cantiere si era precedentemente verificato un altro incidente con modalità analoghe in quanto nel mentre alcuni operai si trovavano in fondo ad uno scavo una grande quantità di terra si era staccata dalla struttura laterale dello scavo stesso ed aveva travolto due lavoratori il primo dei quali è morto sul colpo mentre l'altro riportava lesioni gravissime decedendo però qualche giorno dopo.
La causa degli incidenti era stata individuata nello smottamento parziale della parete dello scavo, provocato a sua volta dalla saturazione da acqua del terreno per le consistenti piogge avutesi nei giorni precedenti e dalle modalità di esecuzione dei lavori che avevano comportato dei fattori di instabilità del terreno ed improprie sollecitazioni sul fronte della cavità, lavori quali l'infissione di puntoni in legno lungo il ciglio superiore, dei martellamenti alle banchine durante l'installazione delle strutture in legno nonché la presenza di una canaletta di scolo in cemento che, secondo le previsioni del progetto, avrebbe dovuto essere eliminata.
Dell’accaduto sono stati ritenuti dal Tribunale e successivamente dalla Corte di Appello responsabili sia il committente dell’opera che il coordinatore per la sicurezza designato dall’amministrazione pubblica, il primo dichiarato colpevole per il reato di omicidio colposo plurimo in relazione agli infortuni sul lavoro verificatisi nel cantiere ed il secondo per il reato di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose e sono stati condannati il committente alla pena di mesi sei di reclusione ed il coordinatore alla pena di un anno e sei mesi di reclusione.
In particolare il Tribunale configurava la responsabilità del coordinatore “nella ricorrenza di profili di negligenza ed imperizia nella redazione del progetto e del piano di sicurezza e di coordinamento, nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 12 comma 2 (modalità C di realizzazione degli scavi) con errate scelte progettuali, nella inadeguatezza del piano rispetto alle effettive modalità di esecuzione delle opere in corso con mancata adozione dei provvedimenti conseguenti” mentre al committente, individuato in un geometra del Comune che aveva sostituito l’ingegnere Capo del Comune nel periodo durante il quale era accaduto l’infortunio, e che aveva firmato in tale veste il contratto di appalto, veniva contestato di “non avere effettuato la dovuta azione di vigilanza (prescritta dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6 comma 2) sul cantiere e sulla attività del coordinatore”. “Le cautele non adottate da entrambi i prevenuti” si legge nella sentenza “riguardavano la mancata predisposizione di armatura dello scavo ovvero di consolidamento del terreno”.
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo il geometra individuato come committente di non rivestire nella circostanza tale figura non avendo lo stesso, nello svolgimento delle funzioni di ufficio, mai avuto autonomia decisionale e di spesa ed il secondo lamentando che la Corte di Appello non aveva individuato attraverso l’espletamento di una perizia tecnica il nesso di causalità tra la sua condotta omissiva e gli eventi verificatisi e che comunque, inoltre, non erano emersi concreti elementi attestanti la colpa a suo carico atteso anche che egli nel capitolato di appalto aveva indicato le cautele da adottare nella esecuzione degli scavi.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi confermando la correttezza dell’operato della Corte di Appello. Giustamente, secondo la Sez. IV, è stato attribuito al geometra la “posizione di garanzia quale committente dell'opera pubblica, facendo riferimento al principio di effettività desumibile dal ruolo svolto dal predetto, fornito di autonomia tecnica e funzionale nonché di concreta capacità di ingerenza nella fase di ideazione e realizzazione dell'opera”. I poteri decisionali, in ordine all'esecuzione del rapporto contrattuale di appalto, esercitati dall'imputato, prosegue la Suprema Corte, “lo mettevano in condizione di adottare le misure di prevenzione, la cui attuazione diveniva parimenti obbligatoria in relazione alla posizione di garanzia rivestita”.
Analogamente per quanto riguarda il comportamento del coordinatore per la sicurezza la Corte di Cassazione ha ritenuto che nei precedenti giudizi era stata delineata compiutamente ed esaurientemente la sua condotta e che erano state sufficientemente esaminate e ribattute le sue doglianze.
E.M.