Con la sentenza n. 19358 del 10 settembre la Cassazione consolida il principio della computabilità come orario di lavoro e, di conseguenza, ai fini retributivi, del cosiddetto “tempo-tuta”, quell’intervallo temporale dedicato alla vestizione e alla svestizione. Il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la divisa aziendale, quindi, si considera orario di lavoro.
I fatti riguardano un gruppo di dipendenti che richiedevano alla società presso la quale erano assunti la corresponsione della retribuzione a fronte del tempo impiegato per transitare al tornello di ingresso, recarsi presso il locale spogliatoio, indossare gli indumenti di lavoro forniti dall’azienda e accedere infine al reparto per l’inizio del turno; stessa pretesa per compiere le operazioni inverse, a fine turno. La Suprema corte ha ritenuto che il tempo necessario per la vestizione costituisse lavoro retribuito, confermando la determinazione in via equitativa della quota oraria attratta nell’alveo del lavoro effettivo. Partiamo dalla definizione legale di cui all’articolo 1 del Dlgs n. 66/2003, secondo la quale per orario di lavoro si intende «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nel l’esercizio della sua attività o delle sue funzioni».
Resta inteso che debba trattarsi di un obbligo preparatorio all’effettiva prestazione lavorativa, soggetto al controllo datoriale (Cassazione n. 19273/2006). È poi necessario rapportarsi alla disciplina contrattuale specifica circa le attività preparatorie, distinguendo quelle che configurano dei normali comportamenti di diligenza propedeutica allo svolgimento della prestazione lavorativa da quelle “dirette”, cioè produttive di effetti giuridici: qui la vestizione della divisa deve essere eseguita secondo disposizioni pregnanti circa il tempo e il luogo e come tale è soggetta al potere direttivo del datore di lavoro, dando luogo alla retribuzione (Cassazione n. 15734/2003). Il principio si rafforza laddove sussistano regole o pattuizioni che impongano la vestizione di particolari protezioni tecniche: in questo caso il tempo-tuta diventa “eterodiretto”, non rientrando più nella sfera di piena disponibilità del lavoratore e a nulla rilevando che la timbratura del cartellino sia successiva a tali operazioni, come avveniva nel caso in esame. Particolare attenzione deve anche essere rivolta all’interpretazione del tenore letterale delle disposizioni dei Ccnl: ad esempio, un istituto contrattuale che imponga il conteggio delle ore con l’orologio del reparto – poiché non regolamenta in modo specifico la materia – ha natura meramente ordinatoria e non riveste una funzione prescrittiva, essendo quindi destinato a cedere a fronte dell’eventuale ricomprensione nell’orario di lavoro di operazioni preparatorie o integrative della prestazione lavorativa, anteriori o posteriori alla timbratura dell’orologio marcatempo (Cassazione n. 15492/2009).
Da Punto Sicuro